ELETTRA

30 Ottobre 2009

Elettra sventola la semplicità delle sue parole, “amore, concediamoci quel viaggio imprevisto”

"Scegliere il nome di una donna come titolo di un album significa rivolgerle una richiesta precisa, simile all’invocazione delle muse nei poemi classici, affinché si faccia avanti per raccontarci la sua storia. Se Elettra decidesse ad un tratto, senza alcun preavviso, di arrivare fino a noi, concedendosi un viaggio nei nostri poco confortevoli giorni, che cosa avrebbe da dirci? Lei che è stata protagonista assoluta dei sogni dei più grandi drammaturghi greci, Sofocle, Euripide ed Eschilo. Passata in punta di piedi attraverso le sale d’attesa della psicanalisi moderna e le teorie di Jung che la misero sul lettino accanto al suo fratello Edipo.

Una figura del genere, al tempo stesso prefigurazione e compimento di idee sempre nuove, che abiti sceglierebbe di indossare? Quale messaggio ci affiderebbe? Eroina borghese, pazza sanguinaria, matricida e poi, ancora, rivale della sua stessa madre nella descrizione del complesso che porta il suo nome. Un simbolo dal carattere difficile e le potenzialità infinite soprattutto perché dietro di esso è possibile nascondere il vero protagonista dell’intero album: l’amore. Anche in questo caso però si tratta di una ricerca che prende in considerazione mille maschere ed altrettanti modi di essere del sentimento. I ruoli e le passioni si rincorrono attraverso le canzoni fino a vestire i panni della vittima, l’assassina, la straniera.

Elettra potrebbe essere la prostituta protagonista di una canzone. Donna dunque e mestierante. Attrice del sesso a pagamento. Oscar Wilde diceva che è sufficiente dare una maschera ad un uomo affinché egli ci dica la verità. Nel caso di Elettra basterà la “cipria abusata nella penombra” mentre negli occhi riverberano “i bagliori della strada”. La sua verità è una passione imbarazzante, l’amore per un cliente, errore imperdonabile per chi fa il suo mestiere. Ed Elettra diventa nuovamente Eva. La sua missione è redimere l’uomo invece di fargli assaggiare una mela sospetta. Perché spaccando un simbolo a metà lo si rinnova garantendo che ci sia cibo per chi vorrà interpretarlo in futuro. E allora una prostituta può insegnare la leggerezza del sentimento invece della banalità della carne. Davanti alla faccia perplessa del solito uomo impaurito, impietrito, mai cresciuto, Elettra sventola la semplicità delle sue parole, “amore, concediamoci quel viaggio imprevisto” un abbraccio alla luce del sole, un ballo. Ed il mondo intero non può fare altro che guardarla “indignato” e “frenetico” restando con un palmo di naso: Elettra si è presa gioco di lui, un’altra volta. I suoni ed i testi delle canzoni sono impregnati dal sentimento dell’immediatezza: la frase musicale procede per illuminazioni basandosi in modo particolare sulla sensibilità delle parole e delle melodie.

Una finestra dunque, che si apre sia verso l’interno dell’essere umano alla ricerca della sua storia psicologica ed emotiva, sia all’esterno, verso la nostra società. In questo caso ad avere la meglio sono le figure grottesche ed i paradossi con i quali conviviamo da tempo. Non si avverte contrasto tra la volontà di raccontare l’uomo o la donna nella loro nudità mitica ed il bisogno di una giustizia poetica capace di rimettere le cose a posto. La generosità e la comprensione dell’artista nei confronti di tutte le caratteristiche dei propri personaggi permette loro di diventare cantastorie senza aspettative. A tratti sembra che la voce di Elettra renda possibile persino una confessione autobiografica, un ricordo prezioso che Carmen ha scelto di condividere staccandolo dal muro della sua memoria come una fotografia, una dolorosa cartolina."

* tratto da Carmen Consoli - Quello che sento, F. Guglielmi - GIUNTI Editore 2006

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