"Scegliere il nome di una donna come titolo di un album significa rivolgerle una richiesta precisa, simile all’invocazione delle muse nei poemi classici, affinché si faccia avanti per raccontarci la sua storia. Se Elettra decidesse ad un tratto, senza alcun preavviso, di arrivare fino a noi, concedendosi un viaggio nei nostri poco confortevoli giorni, che cosa avrebbe da dirci? Lei che è stata protagonista assoluta dei sogni dei più grandi drammaturghi greci, Sofocle, Euripide ed Eschilo. Passata in punta di piedi attraverso le sale d’attesa della psicanalisi moderna e le teorie di Jung che la misero sul lettino accanto al suo fratello Edipo.
Una figura del genere, al tempo stesso prefigurazione e compimento di idee sempre nuove, che abiti sceglierebbe di indossare? Quale messaggio ci affiderebbe? Eroina borghese, pazza sanguinaria, matricida e poi, ancora, rivale della sua stessa madre nella descrizione del complesso che porta il suo nome. Un simbolo dal carattere difficile e le potenzialità infinite soprattutto perché dietro di esso è possibile nascondere il vero protagonista dell’intero album: l’amore. Anche in questo caso però si tratta di una ricerca che prende in considerazione mille maschere ed altrettanti modi di essere del sentimento. I ruoli e le passioni si rincorrono attraverso le canzoni fino a vestire i panni della vittima, l’assassina, la straniera.
Elettra potrebbe essere la prostituta protagonista di una canzone. Donna dunque e mestierante. Attrice del sesso a pagamento. Oscar Wilde diceva che è sufficiente dare una maschera ad un uomo affinché egli ci dica la verità. Nel caso di Elettra basterà la “cipria abusata nella penombra” mentre negli occhi riverberano “i bagliori della strada”. La sua verità è una passione imbarazzante, l’amore per un cliente, errore imperdonabile per chi fa il suo mestiere. Ed Elettra diventa nuovamente Eva. La sua missione è redimere l’uomo invece di fargli assaggiare una mela sospetta. Perché spaccando un simbolo a metà lo si rinnova garantendo che ci sia cibo per chi vorrà interpretarlo in futuro. E allora una prostituta può insegnare la leggerezza del sentimento invece della banalità della carne. Davanti alla faccia perplessa del solito uomo impaurito, impietrito, mai cresciuto, Elettra sventola la semplicità delle sue parole, “amore, concediamoci quel viaggio imprevisto” un abbraccio alla luce del sole, un ballo. Ed il mondo intero non può fare altro che guardarla “indignato” e “frenetico” restando con un palmo di naso: Elettra si è presa gioco di lui, un’altra volta. I suoni ed i testi delle canzoni sono impregnati dal sentimento dell’immediatezza: la frase musicale procede per illuminazioni basandosi in modo particolare sulla sensibilità delle parole e delle melodie.
Una finestra dunque, che si apre sia verso l’interno dell’essere umano alla ricerca della sua storia psicologica ed emotiva, sia all’esterno, verso la nostra società. In questo caso ad avere la meglio sono le figure grottesche ed i paradossi con i quali conviviamo da tempo. Non si avverte contrasto tra la volontà di raccontare l’uomo o la donna nella loro nudità mitica ed il bisogno di una giustizia poetica capace di rimettere le cose a posto. La generosità e la comprensione dell’artista nei confronti di tutte le caratteristiche dei propri personaggi permette loro di diventare cantastorie senza aspettative. A tratti sembra che la voce di Elettra renda possibile persino una confessione autobiografica, un ricordo prezioso che Carmen ha scelto di condividere staccandolo dal muro della sua memoria come una fotografia, una dolorosa cartolina."
* tratto da Carmen Consoli - Quello che sento, F. Guglielmi - GIUNTI Editore 2006
Tra tutti i giorni in cui potevi partire
Perché hai pensato proprio al lunedì.
Gli uccelli cantano, l’estate è alle porte
tempo di mare e di granite al limone.
Chissà quale fine sarcasmo d’autore
Avresti sfoderato senza giri di parole.
Viva l’Italia, il calcio, il testosterone,
gli inciuci e le buttane in preda all’ormone
a noi ci piace assai la televisione
proprio l’oggetto – dico – esposto in salone
chissà quale amara considerazione
avresti concepito in virtù del pudore.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Che prendi il sole sulla spiaggia
Con la solita camicia bianca
Ed il giornale aperto sulla pagina sportiva
Mentre stai sul bagnasciuga
Beato tra le braccia di un tramonto.
Tra tutti i giorni in cui potevi morire
Perché hai pensato proprio al lunedì
Strade caotiche e litigi agli incroci
Quanti cafoni su veicoli osceni
Chissà quale fine sarcasmo d’autore
Avresti sfoderato in questa triste occasione.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Che prendi il sole sulla spiaggia
Con la solita camicia bianca
Ed il giornale aperto sulla pagina sportiva
Mentre stai sul bagnasciuga
canticchiando una canzone romantica.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Che prendi il sole sulla spiaggia
Con la solita camicia bianca.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Mentre stai sul bagnasciuga
E cogli con stupore il nuovo giorno.
I giorni volano confusi e inquieti
Come mosche a tavola
Domani è festa e tutto il paese già freme per la processione.
Signora sia generosa
I santi martiri gioiranno in cambio di qualcosa.
Il meteo informa che quest’anno primavera tarderà
È una sciagura per le mie rose
Questa perturbazione atlantica.
Signora abbia pazienza
Le piante non hanno fretta o scadenza
È solo questione di poche settimane
Perché temere che non possano sbocciare.
In questa attesa interminabile di ore ingrovigliate e incerte
Un’improvvisa ondata di rondini disegna voli strabilianti.
Se chiudo gli occhi avverto un caldo attrito
Il sole a maggio non è stato mai così vicino.
Sia dolce o amara la sorte
Mio generale combatterò al tuo fianco
Signora abbia pazienza
Le piante non hanno fretta o scadenza
È solo questione di poche settimane
Perché temere che non possano sbocciare.
In questa attesa interminabile di ore ingrovigliate e incerte
Un’improvvisa ondata di rondini disegna voli strabilianti.
Se chiudo gli occhi avverto il fremito dell’alta quota
e un forte debito d’ossigeno
È già spezzato il fiato
E ricomincio a respirare senza sforzo e senza affanno.
Il meteo informa che quest’anno
Primavera tarderà.
Amore mio non sempre tutto volge per il verso giusto
Ma non è soltanto a causa del maltempo
se il raccolto è andato perso
Ed è buffo come a volte il tempo scorra meglio del previsto
Un panico incombente ci costringe
ad addomesticare un fervido sorriso
un benessere improvviso
È forse una remota speranza, la felicità
Godersi il sole in dicembre
Non molto lontano da qui nevica
Non molto lontano da qui
La gente escogita affannose corse
In preda all’ansia di tornare al punto di partenza
E dimentica il peso della posta in gioco
E il come quando mentre fuori piove.
Amore mio non è una colpa
Il non saper gestire la gioia
E il fatto di trovarsi a proprio agio
nel dolore e nella rassegnazione
Ed è naturale come a volte ci forziamo d’ignorare
Il gemito costante delle nostre reali inclinazioni
Il margine di errore, di un’incessante sottrazione
È forse una remota speranza, la felicità
Godersi il sole in dicembre
Non molto lontano da qui nevica
Non molto lontano da qui
La gente ostenta oscure stravaganze
in preda all’ansia di stupire
E indossa le sue maschere
E dimentica da qualche parte
quella del coraggio nel momento del rilancio.
Non molto lontano da qui nevica
Non molto lontano da qui nevica
Ho messo il rossetto rosso in segno di lutto
E un soprabito nero
Era un uomo distinto mio zio.
Madre non piangere, ingoia e dimentica
Le sue mani ingorde tra le mie gambe
Adesso sta in grazia di Dio.
Brava bambina fai la conta
Più punti a chi non si vergogna
Giochiamo a mosca cieca
Che zio ti porta in montagna.
Porgiamo l’estremo saluto ad un animo puro,
Un nobile esempio di padre, di amico e fratello
E sento il disprezzo profondo, i loro occhi addosso
Ho svelato l’ignobile incesto e non mi hanno creduto.
Brava bambina un po’ alla volta
Tranquilla, non morde e non scappa
Giochiamo a mosca cieca
Che zio ti porta in vacanza.
Brava bambina fai la conta
Chi cerca prima o poi trova
Gioiuzza fallo ancora
Che zio ti porta alla giostra
Che zio ti porta alla giostra.
Ho messo un rossetto rosso carminio
E sotto il soprabito niente
In onore del mio aguzzino.
Quella domenica mattina una brezza malinconica
Soffiava dal mare
Il pensiero di odissee lontane
Viaggiatori in cerca di emozioni forti a cui approdare.
Sopravviverò al tumulto delle tue parole
A Sud est, ai margini del buio incede il sole
Ed aspetterò la sera agghindata di brillanti
Verresti a guardare le stelle.
Spiegami in fondo che senso ha
Aspettare l’estate per poi
Rimpiangere il freddo dell’inverno
Dove il cielo è più terso
Il sapore dell’inverno.
Quella domenica mattina accettavo
senza accorgermi un invito al dolore,
un tripudio di onde anomale agitava l’orizzonte.
Non avevo che me stessa e una ridente imbarcazione
Sopravviverò al tumulto delle tue parole, sopravviverò.
Spiegami in fondo che senso ha
Aspettare l’estate per poi rimpiangere
Il freddo dell’inverno
E gli odori che non risvegliano i sensi
e le anguste giornate sempre brevi
Che senso ha ostinarsi a reprimere un desiderio e
Lasciarlo alla porta fingendo l’assenza
Ed ancora una volta non saper dire basta.
Quella domenica mattina accettavo
senza accorgermi un invito al dolore.
(quando il cielo si sveglia,
i giardini profumano di rose e gelsomini)
Marie a déjà oublié toutes les chansons de Noël
mon Dieu qu’est-ce qu’elle a fait, elle a déjà péché
(Maria ha già dimenticato tutte le canzoni di Natale,
ma Dio che cosa ha fatto? Ha già peccato!)
Qualcuno dice che gli elicotteri spaventano gli uccelli
Che stiamo diventando indifferenti e senza più sensibilità
(quando il cielo si sveglia,
i giardini profumano di rose e gelsomini)
Marie a déjà oublié toutes les mauvaises pensées
mon Dieu qu’est-ce qu’elle a fait, elle a déjà tué
(Maria ha già dimenticato tutti i cattivi pensieri,
ma Dio che cosa ha fatto? Ha già ucciso)
A notte il corpo della luna incanta ma io l’ignoro
Appena il cielo si sveglia
Profumano i giardini di zagare e gelsomini
Codici smarriti, linguaggi segreti, codici smarriti.
Come stai?
(quando il cielo si sveglia i giardini profumano di rose e gelsomini)
Marie a déjà souffert toutes les peines de l’enfer
On va lécher ses pieds, elle a tué sa mère
Oh Marie Je t‘aime
(Maria ha già sofferto tutte le pene dell’inferno,
andiamo a leccarle i piedi, ha ucciso sua madre)
Conservi memoria nelle tue radici
Conservi memoria nelle tue radici
Stop
Sugnu sempri alla finestra e viru genti ca furria pà strada
Genti bedda, laria, allegra, mutriusa e siddiata
Genti arripudduta cu li gigghia isati e a vucca stritta
“Turi ho vogghia di quaccosa, un passabocca, un lemonsoda”
Iddu ci arrispunni: “Giusi, quannu ti chiamavi Giuseppina,
eri licca pà broscia cà granita”
“Turi tu n’ha fattu strada e ora che sei grosso imprenditori
t’ha ‘nsignari a classi ‘ntò parrari”
[Sono sempre alla finestra e vedo gente che gira per strada
Gente bella, brutta, allegra, musona e arrabbiata
Gente che ostenta ricchezze, con il sopracciglio alzato e la bocca stretta
“Turi ho voglia di qualcosa, un ‘passabocca’, una lemonsoda”
Lui risponde: “Giusi, quando ti chiamavi Giuseppina eri golosa di
brioche con la granita”
“Turi, ne hai fatta di strada e adesso che sei un grosso imprenditore
devi imparare a parlare con classe”]
Sugnu sempre alla finestra e viru genti spacinnata,
sduvacata ‘nte panchini di la piazza, stuta e adduma a sigaretta,
gente ca s’ancontra e dici “ciao” cu na taliata,
genti ca s’allasca, genti ca s’abbrazza e poi si vasa,
genti ca sa fa stringennu a cinghia, si strapazza e non si pinna,
annunca st’autru ‘nvernu non si canta missa,
genti ca sa fa ‘lliccannu a sadda,
ma ci fa truvari a tavula cunsata a cu cumanna
[Sono sempre alla finestra e vedo gente sfaccendata
Scomposta sulle panchine della piazza, fuma una sigaretta dopo l’altra
Gente che si incontra e dice “ciao” con uno sguardo,
gente che si evita, che si abbraccia e poi si bacia,
gente che stringe la cinghia, fa mille sacrifici
ma non si arrende
perché altrimenti il prossimo inverno non sbarcherà il lunario,
gente che non possiede quasi nulla, ma si prodiga per far
trovare la tavola apparecchiata a chi comanda]
Chi ci aviti di taliari, ‘un aviti autru a cui pinsari
almeno un pocu di chiffari
“Itavinni a travagghiari” vannia ‘n vecchiu indispettitu,
“avemu u picciu arreri o vitru”.
Jù ci dicu “m’ha scusari,
chista è la me casa e staju unni mi pare.
[Ma che avete da guardare,
non avete altro a cui pensare, qualcosa da fare.
“Andate a lavorare” grida un vecchio indispettito
“abbiamo un menagramo dietro il vetro”.
Io rispondo “Mi scusi,
questa è casa mia e sto dove mi pare”]
La domenica mattina dagli altoparlanti della chiesa
a vuci ‘i Patri Coppola n’antrona i casi, trasi dintra l’ossa
“piccaturi rinunciati a ddi piccati di la carni
quannu u riavulu s’affaccia rafforzatevi a mutanna”.
Quannu attagghiu di la chiesa si posteggia un machinone
scinni Saro Branchia detto Re Leone
Patri Coppola balbetta e ammogghia l’omelia cu tri paroli
picchì sua Maestà s’ha fari a comunioni
[La domenica mattina dagli altoparlanti della chiesa
La voce di padre Coppola fa tremare i muri delle case,
entra dentro le ossa
“peccatori rinunciate ai peccati della carne
Quando il diavolo s’affaccia rinforzate le mutande”
Quando accanto alla chiesa si posteggia un macchinone
Scende Saro Branchia detto Re Leone.
Padre Coppola balbetta e chiude l’omelia con tre parole
Perché sua maestà deve far la comunione]
Chi ci aviti di taliari, ‘un aviti autru a cui pinsari
almeno un pocu di chiffari
“Itavinni un pocu a mari”, vannia un vecchiu tintu
“accussì janca mi pariti ‘n spiddu”
Jù ci dicu “m’ha scusari,
ma picchì hati a stari ccà sutta a me casa pà ‘nsultari”
[Ma che avete da guardare,
non avete altro da fare, qualcosa da fare.
“Andate un po’ a mare”, grida un vecchio stronzo
“così bianca sembrate un fantasma”
Io rispondo “Mi scusi,
ma perché vi siete stabilito sotto casa mia, a provocarmi?”]
Sugnu sempri alla finestra e viru a ranni civiltà
ca ha statu, unni Turchi, Ebrei e Cristiani si stringeunu la manu,
tannu si pinsava ca “La diversità è ricchezza”
tempi di biddizza e di puisia, d’amuri e di saggezza
Zoccu ha statu aieri, oggi forsi ca putissi riturnari
si truvamu semi boni di chiantari
‘Nta sta terra ‘i focu e mari oggi sentu ca mi parra u cori
e dici ca li cosi stannu pì canciari
[Sono sempre alla finestra e vedo la grande civiltà che fu,
dove Turchi, Ebrei e Cristiani si stringevano la mano,
allora si pensava “la diversità è ricchezza”,
tempi di bellezza e di poesia, di amore e di saggezza.
Ciò che è stato ieri, oggi forse potrebbe tornare
se troviamo semi buoni da piantare
In questa terra di fuoco e mare
oggi sento dal profondo del mio cuore
che le cose cambieranno]
Chi ci aviti di taliari ‘un aviti autru a cui pinsari,
almeno un poco di chiffari
Itavinni a ballari, ittati quattru sauti e nisciti giustu pì sbariari
Iù ci dicu “Cù piaciri,
c’è qualchi danza streusa ca vuliti cunsigghiari!?”
[Ma che avete da guardare,
non avete altro a cui pensare, qualcosa da fare.
“Andate a ballare, fate quattro salti e uscite,
giusto per distrarvi un po’.”
Io rispondo “Con piacere,
c’è qualche ballo estroso che volete consigliarmi?”].
Se la lontananza è come il vento
Nel tepore apatico di questa passione
Non sorprenderanno più fiamme inattese
Sotto la cenere alcun sogno combustibile.
Dal punto più alto di questo monte inquieto
Il blu festoso dell’oceano strappa alle mie labbra un sorriso.
Spero che un giorno smetterai di fare confusione
Tra il dolore ed il piacere,
la paura ed il bisogno di ferire
son certa che un giorno chiameremo tutto questo
col nome giusto
e ritrovata serenità.
Se la lontananza è come il vento
Su trame morbide di vele spiegate
Soffierà in direzione contraria a ogni dove
Oltre ogni logica di navigazione.
Dal punto più alto di questo monte inquieto
Il blu festoso dell’oceano strappa alle mie labbra un segreto.
Spero che un giorno smetterai di fare confusione
Tra il dolore ed il piacere,
la paura ed il bisogno di ferire.
Son certa che un giorno chiameremo tutto questo
Col nome giusto.
Spero che un giorno smetterai di fare confusione
tra il dolore e il piacere,
la paura e il bisogno di ferire.
Son certa che un giorno chiameremo tutto questo
Col nome giusto
E ritrovata serenità.
Elettra metteva la cipria consueta nella penombra
Negli occhi il riflesso di sensi abusati e bagliori di strada
Inquieta per l’ultimo appuntamento
Qualche minuto e lo avrebbe rivisto.
Da giorni in conflitto con quel turbamento
Sublime ed affine al dolore
Quell’altalenare tra stato di grazia e sfiancante passione
Quel giovedì sera alle dieci e quaranta
Un confuso languore, l’odore di neve
Forse era ansia di prestazione
Il colmo per una che fa quel mestiere.
Elettra quale audace acrobazia
Toccare il cielo con un dito e poi ridiscendere
Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Tra sguardi indignati e la frenesia del resto del mondo.
Amore concediamoci quel viaggio imprevisto
La fuga dal solito itinerario costretto alla morsa dell’abitudine.
Perdona il ritardo
All’altezza del bivio
Fui colto da ignoto malore
Le gambe inorganiche, lastre di ghiaccio, improvvisa necrosi
del cuore.
Per grazia divina la mente è rimasta
Illesa ed immune a ogni trepidazione.
Vengo a saldare il servizio d’amore:
oltre seicento gradevoli ore.
Elettra quale audace acrobazia
Toccare il cielo con un dito e poi ridiscendere.
Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Tra sguardi indignati e la frenesia del resto del mondo.
Amore concediamoci quel viaggio imprevisto
La fuga dal solito itinerario costretto alla morsa dell’abitudine.
Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Amato bene abbracciami alla luce del giorno.
Che vergogna te la sei fatta addosso
Mentre tutti mangiano. Cosa penseranno?
Ci è giunta voce che nel suo paese l’inciviltà regna sovrana
Ambasciatore che ingrata mansione
La rappresentanza di tale etnia subumana.
Vorrei parlarvi di un sogno ricorrente
Una donna dal corpo normale e la testa di un cane
Le mani di mia madre.
Stava seduta sulla panchina di una stazione mai vista
Sul tabellone una data di nascita:
ventunodieciduemilatrenta.
Cari signori brindo a tale rozza illazione
poiché mi diverte il pregiudizio borghese
perché guastare tale atmosfera gioviale con la tensione
brindiamo all’amore materno, filiale, carnale
brindiamo all’amore promiscuo, fedele e spirituale.
Signore e signori mi spiace interrompervi
Siete in arresto, devo rinchiudervi nel ripostiglio
Toglietevi le scarpe.
Mettete sul tavolo oggetti metallici, contenitori di liquidi
Se fate i buoni vi lascio una coperta per l’inverno.
Testi e musiche di Carmen Consoli, eccetto Mandaci una cartolina (testo di Carmen Consoli - musica di Carmen Consoli e Massimo Roccaforte), Marie ti amiamo (testo di Carmen Consoli, Franco Battiato e Manlio Sgalambro - musica di Carmen Consoli e Franco Battiato)
Prodotto da Francesco Barbaro
Produzione artistica: Carmen Consoli, Massimo Roccaforte e Gianluca Vaccaro
Assistente alla produzione: Salvo Noto
Registrato da Salvo Noto e Gianluca Vaccaro al Due Parole Studio, Catania
Mixato da Gianluca Vaccaro al Quattro Uno Recording Studios, Roma, eccetto Mio Zio mixato al Forward Studios, Grottaferrata, Roma
Assistenti al mixaggio: Gabriele Di Domenico e Alessandro Rovesti al Quattro Uno Recording Studios - Carmine Simeone al Forward Studios
Masterizzato da Bob Ludwig al Gateway Studio, Portland
Edizioni Musicali: Universal Music Italia srl - Narciso Records sas